Ero agitata, mi guardava e io
ricambiavo. Non avevo mai visto due occhi splendere a quel modo. Erano grandi,
neri, espressivi e parlavano di desiderio. Intanto nello scompartimento sentivo
mancare l’aria, era quasi come se quello sguardo mi stesse strozzando ma non ne
avevo paura, anzi più mi guardava e più lo ricambiavo. Ad un tratto sentivo una
voce dentro che mi invogliava a dire qualcosa per paura che ad un certo punto
l’uomo potesse alzarsi e cambiare scompartimento: quando mi sarebbe più
capitato di incontrare questo sconosciuto dal volto interessante, con i capelli
brizzolati e le labbra scolpite con il suo corpo agile da seduttore? Mi
sudavano le mani e la lingua era incollata al palato come se si fosse gonfiata
all’improvviso, questo mi impediva di proferire parola e forse era meglio
perché proprio non sapevo cosa dire a quello sconosciuto che mi faceva girare
la testa. Lui era seduto immobile di fronte a me con le gambe accavallate, una
mano poggiata sul sedile e nell’altra stringeva il telefonino. Sembrò
dimenticarsi che aspettava una telefonata importante, che arrivò e interruppe
il gioco di sguardi. Questo mi permise di ascoltare la sua voce calda, con una
dizione impeccabile e un timbro struggente, adesso ero più interessata di prima
a quello sconosciuto, ero attratta dalle voci interessanti, era una tra le cose
che mi colpivano di più in un uomo. “Arriverò allo studio tra trenta minuti –
disse l’uomo con la sua bella voce -. La faccia accomodare, nel frattempo,
perché ho dovuto prendere il treno successivo. Mi scusi con lei per il ritardo.
Grazie. A tra poco, Emilia”. Mentre parlava, avevo gli occhi puntati al
finestrino quasi fossi interessata al panorama, e l’orecchio proteso al mio
vicino per ascoltare la sua conversazione. Chiuse il telefono e istintivamente
mi girai per scrutare la sua espressione, volevo sapere tutto di quello
sconosciuto. Mi accorsi che anche lui aveva ricominciato a guardarmi. Chissà
come ero spettinata e con la faccia, le braccia e le gambe rosso peperone, che
si intravedevano da un vestitino aderente, avevo passato tutta la mattinata al
mare e mi ero abbronzata in maniera esagerata. Lui aveva un abbigliamento
casual, che non mi aiutava a capire tanto di lui. Sapevo che doveva raggiungere
uno studio: il suo? Era un medico? Un avvocato? Un commercialista? Un dentista?
Aveva un appuntamento con una lei ed era in ritardo. Intanto continuavamo a
guardarci, sentivo il calore di quello sguardo, che diventava sempre più
malizioso. Istintivamente accavallai la gamba sinistra per cambiare posizione e
lui seguì il movimento: adesso sembrava interessato alle mie gambe. Quasi
intimidita, allungai con le mani il vestito di cotone rosso che, vista la
posizione, si era arrotolato un po’ diventando più corto. Il treno era in movimento
e io neppure me ne accorgevo, ero pervasa dalla passione per quello sconosciuto
dalla postura impeccabile. Cominciavo a giocare con le mani sul vestito, ora
ero un po’ imbarazzata dalle sue attenzioni ma non volevo che lo percepisse.
Avevo davanti l’uomo della mia vita, sentivo dentro un’eruzione come fossi
diventata un vulcano. Dovevo sapere tutto di lui. Tra poco saremmo arrivati
alla stazione di Palermo e lì non l’avrei più rivisto, dovevo escogitare
qualcosa. Iniziai a guardargli le mani alla ricerca di qualche indizio. Lui
intanto continuava a studiare il mio corpo. Feci un gesto di seduzione,
togliendo le forcine dai capelli e lasciai che mi cadessero liberi sul seno.
Lui sembrava apprezzare i miei movimenti. Continuavo a sentire quella sensazione
di calore, che mi faceva mancare l’aria. Lo squillo del telefono dell’uomo,
richiamò ancora una volta la mia attenzione. “Sì, Emilia, mi dica – rispose il
mio vicino – fissi un appuntamento per domani mattina”. Chiuse il telefono e
riprese a fissarmi. Avevo voglia che il treno non arrivasse mai, sentivo il
profumo della sua pelle riempire l’aria che respiravo. Presi delle salviettine
umidificate dalla borsa e iniziai a cospargermi le braccia, che mi bruciavano
per il troppo sole e lui non mi toglieva gli occhi di dosso. Avevo la
sensazione che mi stesse spogliando con gli occhi o forse lo stavo desiderando
ardentemente. Mi vergognai per quel pensiero malizioso nei confronti poi di uno
sconosciuto. Ma io dovevo conoscere quell’uomo e non lasciarlo scappare da me.
Misi le salviettine nella borsa, e ripresi a guardarlo. Nel frattempo, però,
lui prese il giornale dalla valigetta e cominciò a leggerlo. “Uhm, ecco persa
un’occasione – pensai –.” Mancavano pochi minuti e saremmo arrivati, ormai non
potevo fare niente. L’uomo guardò l’orologio e ripose il giornale, si preparava
a scendere dal treno. Pochi minuti dopo, arrivammo alla stazione: ci scambiammo
solo il saluto e un sorriso. Decisi che dovevo seguirlo. Fuori la stazione, lo
sconosciuto prese un taxi, io – naturalmente – mi precipitai a prendere quello
dietro al suo. Dissi all’autista che doveva seguire il suo collega. Si mise in
moto. Così arrivammo al suo studio in un palazzo lussuoso di piazza
Castelnuovo. Pagai e scesi dal taxi. Aspettai che lui entrasse dal portone, per
avvicinarmi. C’erano diverse targhe, una più lucida dell’altra, due, però
richiamarono la mia attenzione: una era quella di un cardiologo, l’altra quella
di un dentista. In guardiola il portiere si era allontanato e non potevo mica
chiedergli dell’uomo, visto che non c’era quando è entrato. Mi avvicinai al
portiere per farmi dare i numeri di telefono di entrambi. Avuti i numeri, andai
di corsa a casa a lavarmi e cambiarmi. Provai a chiamare: bene, avevo appena
fissato un elettrocardiogramma e una visita dal dentista. “E se invece dello
studio quella fosse la sua abitazione?”, pensai dopo averle prenotate,
significava che rivederlo sarebbe stato quasi impossibile. Dovetti aspettare
due giorni per scoprire che lo sconosciuto non era il dentista. Una settimana,
invece, per fare la visita dal cardiologo. Quel giorno ero impeccabile: avevo
curato nei dettagli la lingerie, visto che mi sarei dovuta spogliare davanti al
medico. Ormai ero sicura che l’avrei rivisto. Puntuale arrivai all’appuntamento
e l’assistente mi fece accomodare nella sala d’attesa. Tuttavia, da lì, non
potevo vedere chi entrava e usciva dallo studio e neppure la faccia del
dottore. Tra me e me continuai a sperare di averlo trovato. L’attesa fu lunga,
nel frattempo, andai in bagno. Il bagno era poco distante dalla stanza del
medico, così, non appena chiusi la porta, sentii una voce: “Emilia può venire
un attimo?” – sentii tremare le gambe, lo avevo trovato -. Tornai a sedermi con
il sorriso sulle labbra e i pensieri andarono a quel viaggio in treno, al gioco
di sguardi, al desiderio non svelato. Dopo un’ora circa, l’assistente mi
accompagnò nella stanza del medico, che si era allontanato un attimo. Poco dopo
lo vidi entrare più bello che mai avvolto dal suo camice. “Mi scusi signora –
mi disse con quel timbro meraviglioso – lei è già una mia paziente?” “No,
dottore. Questa è la mia prima visita”- risposi -. “Sa, ha l’aria così
familiare. Devo averla già incontrata, ma non ricordo dove” – aggiunse -.
“Magari in treno. Viaggio molto in questo periodo” – suggerìì indispettita
perché non se ne era ricordato -. “Ha ragione, in treno! La scorsa settimana”-
esclamò con entusiasmo il medico -. Provai un sottile piacere: se ne era
ricordato. Mi invitò a togliere la maglia e il reggiseno e a sdraiarmi sulla
lettiga. Il cuore mi batteva fortissimo, ero agitata, felice. Mentre lui mi
visitava, guardai il suo nome sulla targhetta: si chiamava Claudio. Adesso
sapevo che era un cardiologo e che si chiamava Claudio. Intanto poggiava le sue
mani dal tocco delicato sul mio corpo e io provavo piacere. Poco dopo mi invitò
a rivestirmi, tranquillizzandomi che il mio cuore stava benissimo. Parlava e mi
fissava proprio come aveva fatto sul treno: gli occhi parlavano ancora una
volta di desiderio. Concluse la visita, dicendomi: “La chiamerà la mia
assistente per avvisarla quando sarà pronto l’esito. È stato un piacere
rivederla. Arrivederci – disse così alzandosi e porgendomi la sua mano, dandomi
l’occasione di toccare la sua pelle morbida. Ricambiai il saluto e andai di
corsa da Emilia per farmi dare gli orari di ricevimento: avrei potuto fingere
di passare sotto lo studio per caso, magari lo avrei incontrato prima che
andasse a lavorare. Passai le ore successive all’incontro a pensare come avrei
potuto rivederlo: certo, non potevo mica piantonare tutte le mattine lo studio,
il mio lavoro me lo impediva. Prima di cena, raggiunsi degli amici in un locale
vicino casa e, dopo aver preso l’aperitivo, decidemmo di mangiare insieme
qualcosa. C’era un ristorante molto carino dalle parti di via Libertà. In
realtà non avevo molta fame, doveva essere per via dell’incontro col medico.
Non mi ero sbagliata, averlo visto dopo una settimana, confermava il pensiero
che ebbi la prima volta che l’ho visto: doveva essere mio. Dopo cena, tornai a
casa soddisfatta del mio fiuto da investigatore. Prima di addormentarmi
ripensai alla sua pelle, alle sue mani che sfioravano le mie. Decisi che avrei
aspettato l’esito per rivederlo. Con questo pensiero, mi addormentai. Ero
ancora in ferie, decisi di fare una capatina sotto lo studio di Claudio. Era
l’ora di pranzo. Mi fermai a fissare una vetrina di telefonini in attesa che si
materializzasse davanti a me, ma niente. Delusa, tornai a casa. I giorni
seguenti mi sembrarono interminabili sino a quando, una mattina, ricevetti una
telefonata: era lui. Si scusò per aver preso il numero di telefono e mi
dichiarò la sua voglia di vedermi. Così fissammo un appuntamento per l’ora di
cena. Passò a prendermi puntuale con la sua moto. Il vento ci accarezzava,
mentre percorrevamo la strada verso il mare. Non sapevo dove mi stava portando:
aveva programmato tutto. Mi ritrovai davanti ad un cancello enorme di una villa
bellissima in riva al mare: era la sua. La cameriera venne ad aprire la porta
di ingresso. Restai estasiata da ciò che mi stava intorno. Mi fece accomodare a
sorseggiare un bicchiere di vino bianco in attesa di sederci a tavola. Parlammo
molto del nostro viaggio in treno: “Ti ho desiderata subito – mi disse – ma non
volevo sembrarti inopportuno, così ho perso l’occasione di conoscerti. Se non
fosse stato per te…” a quel punto anch’io gli
confessai quanto mi era piaciuto. Ad interrompere la nostra
conversazione intervenne Clara, la cameriera. Così ci spostammo a tavola.
Finita la cena, decidemmo di fare una passeggiata in riva al mare: sentivo il
dolce rumore delle onde infrangere la riva, il cielo si chiudeva come in un
abbraccio verso di noi con le stelle infila che scintillavano come in un coro,
cantando una melodia ruffiana e fu a quel punto che lui mi sfiorò le labbra per
la prima volta… stavo lì, in punta di piedi, ad assaporare i suoi baci e mi
sentivo il cuore vibrare a ritmo di musica: era l’uomo della mia vita.
Serena Marotta
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