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sabato 14 settembre 2013

In riva al mare

Fonte immagine: Internet



Ero agitata, mi guardava e io ricambiavo. Non avevo mai visto due occhi splendere a quel modo. Erano grandi, neri, espressivi e parlavano di desiderio. Intanto nello scompartimento sentivo mancare l’aria, era quasi come se quello sguardo mi stesse strozzando ma non ne avevo paura, anzi più mi guardava e più lo ricambiavo. Ad un tratto sentivo una voce dentro che mi invogliava a dire qualcosa per paura che ad un certo punto l’uomo potesse alzarsi e cambiare scompartimento: quando mi sarebbe più capitato di incontrare questo sconosciuto dal volto interessante, con i capelli brizzolati e le labbra scolpite con il suo corpo agile da seduttore? Mi sudavano le mani e la lingua era incollata al palato come se si fosse gonfiata all’improvviso, questo mi impediva di proferire parola e forse era meglio perché proprio non sapevo cosa dire a quello sconosciuto che mi faceva girare la testa. Lui era seduto immobile di fronte a me con le gambe accavallate, una mano poggiata sul sedile e nell’altra stringeva il telefonino. Sembrò dimenticarsi che aspettava una telefonata importante, che arrivò e interruppe il gioco di sguardi. Questo mi permise di ascoltare la sua voce calda, con una dizione impeccabile e un timbro struggente, adesso ero più interessata di prima a quello sconosciuto, ero attratta dalle voci interessanti, era una tra le cose che mi colpivano di più in un uomo. “Arriverò allo studio tra trenta minuti – disse l’uomo con la sua bella voce -. La faccia accomodare, nel frattempo, perché ho dovuto prendere il treno successivo. Mi scusi con lei per il ritardo. Grazie. A tra poco, Emilia”. Mentre parlava, avevo gli occhi puntati al finestrino quasi fossi interessata al panorama, e l’orecchio proteso al mio vicino per ascoltare la sua conversazione. Chiuse il telefono e istintivamente mi girai per scrutare la sua espressione, volevo sapere tutto di quello sconosciuto. Mi accorsi che anche lui aveva ricominciato a guardarmi. Chissà come ero spettinata e con la faccia, le braccia e le gambe rosso peperone, che si intravedevano da un vestitino aderente, avevo passato tutta la mattinata al mare e mi ero abbronzata in maniera esagerata. Lui aveva un abbigliamento casual, che non mi aiutava a capire tanto di lui. Sapevo che doveva raggiungere uno studio: il suo? Era un medico? Un avvocato? Un commercialista? Un dentista? Aveva un appuntamento con una lei ed era in ritardo. Intanto continuavamo a guardarci, sentivo il calore di quello sguardo, che diventava sempre più malizioso. Istintivamente accavallai la gamba sinistra per cambiare posizione e lui seguì il movimento: adesso sembrava interessato alle mie gambe. Quasi intimidita, allungai con le mani il vestito di cotone rosso che, vista la posizione, si era arrotolato un po’ diventando più corto. Il treno era in movimento e io neppure me ne accorgevo, ero pervasa dalla passione per quello sconosciuto dalla postura impeccabile. Cominciavo a giocare con le mani sul vestito, ora ero un po’ imbarazzata dalle sue attenzioni ma non volevo che lo percepisse. Avevo davanti l’uomo della mia vita, sentivo dentro un’eruzione come fossi diventata un vulcano. Dovevo sapere tutto di lui. Tra poco saremmo arrivati alla stazione di Palermo e lì non l’avrei più rivisto, dovevo escogitare qualcosa. Iniziai a guardargli le mani alla ricerca di qualche indizio. Lui intanto continuava a studiare il mio corpo. Feci un gesto di seduzione, togliendo le forcine dai capelli e lasciai che mi cadessero liberi sul seno. Lui sembrava apprezzare i miei movimenti. Continuavo a sentire quella sensazione di calore, che mi faceva mancare l’aria. Lo squillo del telefono dell’uomo, richiamò ancora una volta la mia attenzione. “Sì, Emilia, mi dica – rispose il mio vicino – fissi un appuntamento per domani mattina”. Chiuse il telefono e riprese a fissarmi. Avevo voglia che il treno non arrivasse mai, sentivo il profumo della sua pelle riempire l’aria che respiravo. Presi delle salviettine umidificate dalla borsa e iniziai a cospargermi le braccia, che mi bruciavano per il troppo sole e lui non mi toglieva gli occhi di dosso. Avevo la sensazione che mi stesse spogliando con gli occhi o forse lo stavo desiderando ardentemente. Mi vergognai per quel pensiero malizioso nei confronti poi di uno sconosciuto. Ma io dovevo conoscere quell’uomo e non lasciarlo scappare da me. Misi le salviettine nella borsa, e ripresi a guardarlo. Nel frattempo, però, lui prese il giornale dalla valigetta e cominciò a leggerlo. “Uhm, ecco persa un’occasione – pensai –.” Mancavano pochi minuti e saremmo arrivati, ormai non potevo fare niente. L’uomo guardò l’orologio e ripose il giornale, si preparava a scendere dal treno. Pochi minuti dopo, arrivammo alla stazione: ci scambiammo solo il saluto e un sorriso. Decisi che dovevo seguirlo. Fuori la stazione, lo sconosciuto prese un taxi, io – naturalmente – mi precipitai a prendere quello dietro al suo. Dissi all’autista che doveva seguire il suo collega. Si mise in moto. Così arrivammo al suo studio in un palazzo lussuoso di piazza Castelnuovo. Pagai e scesi dal taxi. Aspettai che lui entrasse dal portone, per avvicinarmi. C’erano diverse targhe, una più lucida dell’altra, due, però richiamarono la mia attenzione: una era quella di un cardiologo, l’altra quella di un dentista. In guardiola il portiere si era allontanato e non potevo mica chiedergli dell’uomo, visto che non c’era quando è entrato. Mi avvicinai al portiere per farmi dare i numeri di telefono di entrambi. Avuti i numeri, andai di corsa a casa a lavarmi e cambiarmi. Provai a chiamare: bene, avevo appena fissato un elettrocardiogramma e una visita dal dentista. “E se invece dello studio quella fosse la sua abitazione?”, pensai dopo averle prenotate, significava che rivederlo sarebbe stato quasi impossibile. Dovetti aspettare due giorni per scoprire che lo sconosciuto non era il dentista. Una settimana, invece, per fare la visita dal cardiologo. Quel giorno ero impeccabile: avevo curato nei dettagli la lingerie, visto che mi sarei dovuta spogliare davanti al medico. Ormai ero sicura che l’avrei rivisto. Puntuale arrivai all’appuntamento e l’assistente mi fece accomodare nella sala d’attesa. Tuttavia, da lì, non potevo vedere chi entrava e usciva dallo studio e neppure la faccia del dottore. Tra me e me continuai a sperare di averlo trovato. L’attesa fu lunga, nel frattempo, andai in bagno. Il bagno era poco distante dalla stanza del medico, così, non appena chiusi la porta, sentii una voce: “Emilia può venire un attimo?” – sentii tremare le gambe, lo avevo trovato -. Tornai a sedermi con il sorriso sulle labbra e i pensieri andarono a quel viaggio in treno, al gioco di sguardi, al desiderio non svelato. Dopo un’ora circa, l’assistente mi accompagnò nella stanza del medico, che si era allontanato un attimo. Poco dopo lo vidi entrare più bello che mai avvolto dal suo camice. “Mi scusi signora – mi disse con quel timbro meraviglioso – lei è già una mia paziente?” “No, dottore. Questa è la mia prima visita”- risposi -. “Sa, ha l’aria così familiare. Devo averla già incontrata, ma non ricordo dove” – aggiunse -. “Magari in treno. Viaggio molto in questo periodo” – suggerìì indispettita perché non se ne era ricordato -. “Ha ragione, in treno! La scorsa settimana”- esclamò con entusiasmo il medico -. Provai un sottile piacere: se ne era ricordato. Mi invitò a togliere la maglia e il reggiseno e a sdraiarmi sulla lettiga. Il cuore mi batteva fortissimo, ero agitata, felice. Mentre lui mi visitava, guardai il suo nome sulla targhetta: si chiamava Claudio. Adesso sapevo che era un cardiologo e che si chiamava Claudio. Intanto poggiava le sue mani dal tocco delicato sul mio corpo e io provavo piacere. Poco dopo mi invitò a rivestirmi, tranquillizzandomi che il mio cuore stava benissimo. Parlava e mi fissava proprio come aveva fatto sul treno: gli occhi parlavano ancora una volta di desiderio. Concluse la visita, dicendomi: “La chiamerà la mia assistente per avvisarla quando sarà pronto l’esito. È stato un piacere rivederla. Arrivederci – disse così alzandosi e porgendomi la sua mano, dandomi l’occasione di toccare la sua pelle morbida. Ricambiai il saluto e andai di corsa da Emilia per farmi dare gli orari di ricevimento: avrei potuto fingere di passare sotto lo studio per caso, magari lo avrei incontrato prima che andasse a lavorare. Passai le ore successive all’incontro a pensare come avrei potuto rivederlo: certo, non potevo mica piantonare tutte le mattine lo studio, il mio lavoro me lo impediva. Prima di cena, raggiunsi degli amici in un locale vicino casa e, dopo aver preso l’aperitivo, decidemmo di mangiare insieme qualcosa. C’era un ristorante molto carino dalle parti di via Libertà. In realtà non avevo molta fame, doveva essere per via dell’incontro col medico. Non mi ero sbagliata, averlo visto dopo una settimana, confermava il pensiero che ebbi la prima volta che l’ho visto: doveva essere mio. Dopo cena, tornai a casa soddisfatta del mio fiuto da investigatore. Prima di addormentarmi ripensai alla sua pelle, alle sue mani che sfioravano le mie. Decisi che avrei aspettato l’esito per rivederlo. Con questo pensiero, mi addormentai. Ero ancora in ferie, decisi di fare una capatina sotto lo studio di Claudio. Era l’ora di pranzo. Mi fermai a fissare una vetrina di telefonini in attesa che si materializzasse davanti a me, ma niente. Delusa, tornai a casa. I giorni seguenti mi sembrarono interminabili sino a quando, una mattina, ricevetti una telefonata: era lui. Si scusò per aver preso il numero di telefono e mi dichiarò la sua voglia di vedermi. Così fissammo un appuntamento per l’ora di cena. Passò a prendermi puntuale con la sua moto. Il vento ci accarezzava, mentre percorrevamo la strada verso il mare. Non sapevo dove mi stava portando: aveva programmato tutto. Mi ritrovai davanti ad un cancello enorme di una villa bellissima in riva al mare: era la sua. La cameriera venne ad aprire la porta di ingresso. Restai estasiata da ciò che mi stava intorno. Mi fece accomodare a sorseggiare un bicchiere di vino bianco in attesa di sederci a tavola. Parlammo molto del nostro viaggio in treno: “Ti ho desiderata subito – mi disse – ma non volevo sembrarti inopportuno, così ho perso l’occasione di conoscerti. Se non fosse stato per te…” a quel punto anch’io gli  confessai quanto mi era piaciuto. Ad interrompere la nostra conversazione intervenne Clara, la cameriera. Così ci spostammo a tavola. Finita la cena, decidemmo di fare una passeggiata in riva al mare: sentivo il dolce rumore delle onde infrangere la riva, il cielo si chiudeva come in un abbraccio verso di noi con le stelle infila che scintillavano come in un coro, cantando una melodia ruffiana e fu a quel punto che lui mi sfiorò le labbra per la prima volta… stavo lì, in punta di piedi, ad assaporare i suoi baci e mi sentivo il cuore vibrare a ritmo di musica: era l’uomo della mia vita.
Serena Marotta               


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