Eri bello papà. Bello e puro ai nostri occhi. Eri il
sorriso del mattino, la canzone del pomeriggio, la coccola della sera. Il bacio
della buonanotte. Ti amavo papà e ti amo ancora e di più.
Solo un po’ di leggerezza poteva placare la sensazione di soffocamento che le provocava il dolore della perdita. La perdita di un uomo che l’aveva cresciuta, amata. Lei non riusciva ancora a credere che suo padre aveva chiuso gli occhi per sempre. Nonostante l’ambulanza, l’ospedale, il marmo e poi la bara. Lui era un uomo forte, deciso, un combattente. Proprio come lo era stato suo padre, ma senza armi, con le parole, con la giustizia. Quella giustizia in cui credeva fiero.
Nino aveva solo due anni quando gli
tolsero la gioia di un padre. Eppure lui seppe essere padre. Con alle spalle
dei fratelli da crescere, il peso di un padre morto in guerra, a Gondar, in
Africa, ai tempi del fascismo. Di Gaetano, suo nonno, restava solo un feretro
sepolto vicino al mare, a Palermo, sua città natale, che aveva lasciato a soli 33
anni per partire sotto le armi. Per dare da mangiare alla sua famiglia: una
moglie e quattro figli. Non aveva scelta. Non ha avuto scelta. Alla famiglia la
consegna di un attestato di merito con la firma di Benito Mussolini. Un foglio
di carta che è stato rubato alla nipote in una redazione. Un atto orrendo. Per
lei, con questo gesto, il nonno era stato ucciso una seconda volta. Non lo
aveva potuto conoscere. Di lui sapeva poco, attraverso il ricordo sbiadito di
suo padre. Sapeva che aveva una voce da tenore, che amava la lirica e il teatro
Massimo, proprio come il suo papà, che aveva ereditato da lui una voce
meravigliosa. Ma i tempi, i soldi, il dovere gli avevano impedito di coltivare
questa passione per il canto. Per lui si aprirono invece le porte del collegio
e qualche esibizione canora per allietare la permanenza in quelle stanze dei
compagni con le sue note.
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